Seguendo la consuetudine dovrei festeggiare il fatto che è trascorso un anno da quando sono entrato nella rete con un mio blog (o simil-blog), ma preferisco passare la mano, forse perchè superata una certa età si ha una specie di idiosincrasia per gli anniversari.
In ogni caso approfitto dell'occasione per ringraziare gli amici blogger che hanno la cortesia, ogni tanto, di farmi compagnia. C'est tout !
Vorrei invece parlare un attimo di un avvenimento accaduto più di 50 anni fa, che queste giornate di fine ottobre mi hanno fatto ricordare. Avevo iniziato da poco la quarta ginnasio, ero dunque poco più di un ragazzino (portavo ancora i calzoni corti, per dire). Ricordo benissimo che, nel salire per la prima volta lo scalone di Palazzo Gherardi, pensavo con molta preoccupazione ai cinque lunghi anni che avrei dovuto trascorrere in quel posto. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua, intimorito dalle ragazze dell'ultimo anno le quali, vestite col tailleur, mi parevano assurdamente grandi per me, di un'altra specie, tanto da chiedermi cosa ci facessero lì. Ero rimasto colpito anche dal gruppo di giovanotti che sotto il portico, mentre tutti si era in attesa della chiamata nelle aule, si divertivano un sacco a scherzare ed a sbeffeggiare quelli delle ultime classi, soprattutto quelli della terza liceo: qualcuno disse che quegli spacconi erano i maturi dell'annata precedente, dunque ormai fuori dal liceo e liberi infine (tanto le lezioni universitarie sarebbero iniziate a novembre, beati loro).
Le prime due settimane filarono via velocemente, dense di novità per noi che eravamo scesi in città da una piccola scuola media di paese: i professori, le materie, i nuovi compagni "cittadini", l'atmosfera che si respirava .... Mi ambientai abbastanza presto, per la verità, non senza aver pagato lo shock iniziale dovuto un po' alle novità e un po' alla totale disassuefazione allo studio ed ai libri praticata con incosciente entusiasmo per tutta l'estate. Qualcosa andò bene subito, però. Non ci crederete, ma sin dall'inizio mi innamorai del greco: quella lingua totalmente sconosciuta mi sembrava fantastica, da scoprire e gustare piano piano. Per il resto buio totale, nei primi tempi, a parte la matematica, dove un po' di fortuna m'aiutò a riscuotere un certo successo col burbero professore. Ebbi pure alcune sonore batoste qua e là, e mi toccò di fare delle figuracce di cui mi sono vergognato per anni: al termine del primo trimestre gli orribili voti rimediati confluiranno in una pagella brutta, ma proprio brutta ! (sarei poi riuscito a sovvertire questa situazione disperata, ma si trattò di un miracolo di cui parlerò un'altra volta).
Verso la fine di ottobre del 1956 i giornali e la radio davano di continuo le notizie che giungevano dall'Ungheria, e così per la prima volta nella mia vita, pur con la modesta consapevolezza dei miei quattordici anni, mi trovavo ad interessarmi di "politica" ed a cercare di capire cosa fossero e cosa significassero per la gente di Budapest parole come destalinizzazione, culto della personalità, Patto di Varsavia, rivolta, rivoluzione, controrivoluzione, intellettuali comunisti, ecc. Allora mi divennero familiari i nomi di Pal Maleter, Imre Nagy, Khruscev ...
Ebbene, durante quei giorni anche il nostro liceo organizzò una manifestazione per protestare contro l'intervento dei soldati sovietici che di fatto schiacciarono la rivolta. Fu un corteo in piena regola, che sfilò in composto silenzio per le vie della città e si concluse con un discorso pronunciato proprio dal nostro insegnante di lettere: discorso a carattere prevalentemente storico, se la memoria non m'inganna (parlò di santo Stefano il primo re ungherese, dei Turchi, degli Asburgo, di Kossuth e dei moti del 48 ...). Era quella la mia iniziazione alla democrazia, una specie di battesimo, la prima delle manifestazioni pubbliche a cui avrei preso parte nel corso degli anni, non tante per la verità. Forse è come il primo amore, non si può scordare.
Tuttavia molto più nettamente ricordo le parole e l'espressione tesa di Marcello, un ragazzo di quinta ginnasio, capelli e occhi nerissimi, bravo da far paura, quasi un genio, riconosciuto e stimato da tutti, che nonostante i compagni lo sollecitassero a partecipare si rifiutò di prendere parte al corteo sostenendo che i rivoltosi ungheresi erano contro-rivoluzionari e fascisti, che lui non se la sentiva per niente di difenderli, anzi, che la vera rivoluzione era quella sovietica ecc. Confesso che allora non capii questa sua posizione, che mi sembrava sbagliata e basta: ma come non essere dalla parte di studenti e operai che lottavano per la libertà, disposti a sacrificare la vita per la loro patria, che combattevano da soli contro una forza gigantesca che li poteva annientare, senza che il mondo occidentale portasse loro un minimo di aiuto ?
Eppure il ragazzo era contrario. Mi parve del tutto incomprensibile la sua posizione di comunista ortodosso, a dispetto dei suoi quindici anni. Ciononostante fui ammirato per il suo atteggiamento, fiero e deciso. Mi sembra ancora di vederlo solitario, là sotto il portico, che ci osserva scrollando leggermente la testa mentre noialtri ci allontaniamo in fila ordinata e silenziosa.
Lupo.
Lupo.