sabato 30 agosto 2008

La meglio gioventù

Ho letto un post, ieri, della brava Anna (una blogger sempre così intelligente e sensibile) che m’ha toccato parecchio, costringendomi a riflettere su una problematica che sento di non aver valutato come avrei dovuto, magari per superficialità o per scarsezza di informazioni o perché non ne sono stato toccato direttamente, dato che l’argomento droga per fortuna fu molto distante dalla mia vita, dai miei interessi e dai miei valori. Il post racconta l’addio alla vita di un uomo, preda della droga e duramente colpito negli affetti familiari, senza più un lavoro e una casa, finito in galera, divenuto un “barbone” per scelta perché rimasto sempre tossicodipendente e per questo marginalizzato, pur riuscendo a conservare ancora un che di innocente, persino un sorriso talvolta. Ebbene Anna negli anni giovanili ha condiviso con questa persona una consuetudine di sogni, speranze e lotte: ella parla di “battaglie politiche, cortei, ideali assorbiti e sbandierati, fermento di idee e di anime”. E lascia trasparire una sincera e dolorosa partecipazione, quasi un senso di colpa per essere riuscita, solo lei e pochi altri, a sfuggire ai terribili tentacoli della “affascinante, suadente, incantatrice” signora bianca (così viene definita l’eroina), una tragedia che sembra aver segnato quasi un’intera generazione di giovani. E distrutto corpi e anime, perché “quando la signora arriva non c'è spazio per altro: è un grande amore, di quelli totalizzanti, quelli che non ti fanno vivere se non con lei e di lei”. Ripeto, il post è molto bello e intenso, corredato di parecchi commenti (potete leggere il tutto qui).

Ciò che mi interessa è riuscire ad esprimere sull’argomento tossicodipendenza un paio di considerazioni che abbiano un senso, prendendo spunto dalla straziante vicenda umana raccontata da Anna, con la speranza di non urtare la sensibilità di nessuno e, se possibile, di non dire sciocchezze. La materia è di quelle gravi, anzi drammatiche, dunque so che andrebbero evitati semplificazioni e qualunquismi. Però sento di dover essere onesto, di dover dire francamente come la penso, anche a costo di sembrare troppo brusco e tranchant. Dunque, in questa come in altre vicende similari ho l'impressione che dietro ci sia come una premessa che si dà per scontata, un ragionamento che non mi convince del tutto, che viene espresso più o meno chiaramente nel post in questione e nei vari commenti, ed è il seguente. Quelli che si drogavano all’inizio degli anni 70 in fin dei conti erano i giovani migliori, quelli pieni di ideali, di sogni, quelli che lottavano per cambiare il mondo; non solo, ma ci fu una specie di disegno criminoso per renderli inoffensivi e toglierli di mezzo, la diffusione dell'eroina appunto. Allora mi chiedo: ma gli altri giovani, quelli che non si drogavano o che comunque sono riusciti a liberarsi dalla schiavitù dell’eroina, erano forse la parte peggiore del movimento giovanile dal 68 in poi ? Quale fu, dunque, "la meglio gioventù" ? Quella che lottava nelle fabbriche, nelle piazze e nelle scuole per avere più libertà e giustizia, che voleva costruire qualcosa di positivo e s'impegnava confidando nella partecipazione (come diceva Gaber); o invece quella che si perdeva per strada, certe volte affascinata e ingannata da cattivi maestri, certe altre rincorrendo sogni mistificatori e fallaci, con l'unico esito coerente, cioè il fallimento ? Con tutta l'umana comprensione per il dolore che ha spezzato anime e corpi di tanti ragazzi, e consapevole che il passato non va mai rinnegato, nonostante ciò non riesco ad accettare, mi si passi il termine, la presunzione di certe posizioni, adesso come allora. Non ho mai pensato che per dimostrare di possedere ideali e credere in un mondo migliore, lottare per la libertà sessuale o contro l’autoritarismo, ecc. bisognasse far uso di droghe, mentre non facendolo si finiva per essere delle banali persone “normali”. Quand’ero giovane non mi sembrava un granchè ciò che qualcuno blaterava, e cioè che ci volesse più coraggio a scegliere di drogarsi che non a vivere una vita “normale”, studiando e lavorando. Ed oggi non mi convince la tesi che in quegli anni non si potessero immaginare le conseguenze devastanti dell’uso di droghe. A me pare che fosse una specie di moda. Si cominciava con l’erba, tanto non fa male (è peggio la nicotina, no ?) mentre in certi ambienti radical-chic la facevano da padroni l'LSD ed i suoi guru. Poi si passava a droghe sempre più pesanti, finendo lentamente ma inesorabilmente per diventare schiavi. Altro che la liberazione sognata e sbandierata ! Partendo dal dogma che non si poteva più sottostare ad alcun divieto, che tutto doveva essere permesso e senza limiti perchè tutto doveva cambiare, molti sono giunti fino a gettarsi in abissi di disperazione. E il clima qual era ? Se volevi essere di sinistra non dovevi schierarti contro la droga, o quantomeno dovevi avere un atteggiamento permissivo e comprensivo, sempre e comunque. Beh, anche oggi mi capita di litigare con amici di sinistra quando, nel classico caso della vecchietta scippata, non se la sentono per niente di condannare lo scippatore, perché bisogna vedere se è delinquente per davvero … La colpa è sempre di qualcun altro, della società, del potere, del neocapitalismo e così via. Ora, so benissimo che non bisogna criminalizzare il tossicodipendente e dimenticarci dei venditori di morte, dai cartelli colombiani ai piccoli spacciatori. Però se vogliamo essere onesti dobbiamo riconoscere che il mondo dei tossicodipendenti è totalizzante, nel senso che il tossico sostiene che lui è meglio di te, che lui ha capito tutto, sa cos’è la felicità, sa come si deve vivere la vita; tu che non ti droghi non vali un cazzo e, se provi a criticare, non sei altro che un fascista. Qualcuno ha detto che la vita non è stata generosa con la generazione del 68. Non sono molto d’accordo: dinanzi ad essa si offrirono tante possibilità, tanti vantaggi, ci fu una crescita incredibile della società, tanti cambiamenti nel costume e nei valori, l'emancipazione femminile, una libertà impensabile solo vent’anni prima. Tutto ciò fu una conquista, è innegabile. Peraltro il 68 ha recato con sé anche diversi guai: il terrorismo fu il più grave e pericoloso per la democrazia, ma ebbe il suo peso anche la scomparsa di alcuni valori con la conseguente crisi della scuola e della famiglia, ad esempio. Fu pernicioso alla lunga, secondo me, pure il diffondersi di un atteggiamento troppo permissivo (oggi si direbbe buonista) nei confronti della droga e dei tossicodipendenti, che non voglio dire essere l’unica causa del dilagare del fenomeno droga, ma sicuramente una con-causa. Oggi il fenomeno è cambiato, ma il problema resta. Se l'immagine del tossico con l'ago ficcato nel braccio è meno frequente che in passato, oggi vediamo che la dipendenza (compresa quella da alcool) s'è diffusa in lungo ed in largo, in tutti gli strati sociali, prendendo forme diverse: c'è lo sballo del week-end, per stordirsi ed andare sempre al massimo, e c'è persino il bisogno di impasticcarsi per poter reggere ai ritmi sempre più pazzeschi di certi ambienti. Oggi il "tenersi su" è diventato uno stile di vita, difficile da correggere soprattutto per gli esempi che vengono dai media ed in generale dal mondo dello spettacolo e del gossip. Quando sento affermare di fronte a tragici fatti come quello di cui ci ha parlato Anna, esito penoso e straziante di una vita buttata via, che quei poveretti non si meritano ciò che gli accade, mi confermo al contrario nella convinzione che siamo comunque sempre noi e solo noi i veri responsabili delle nostre scelte. Sono convinto che su questa verità bisognerebbe far riflettere i nostri giovani. Non si può parlare di fatalità. Infatti la “signora bianca” non è come il Tir che ti piomba all’improvviso addosso in autostrada, saltando il guard-rail e portando distruzione e morte a dei poveri innocenti.

Lupo.

4 commenti:

Anna ha detto...

Eccomi qui. Sono contenta che il mio scritto ti abbia indotto delle riflessioni. E soprattutto ti abbia trasmesso delle emozioni.
L'ho scritto di getto: usciva dal cuore e dall'anima. Voleva solo essere un modo per cercare di elaborare un dolore che mi porto dentro da tanti anni e che ogni tanto riaffiora. Ma tu poni la questione ed io ora dico la mia, che forse non è stata chiara nelle risposte ai commenti al mio post. Ero ancora troppo addolorata.
Sono antiproibizionista convinta, proprio perchè conosco il problema sulla mia pelle. So che le proibizioni, e non dico nulla di nuovo, su alcuni giovani possono alimentare il desiderio di assaporare il proibito.So che quando poi ci sei dentro, è meglio trovare la droga in farmacia, controllata e pulita.Ti evita di morire di overdose e di dover delinquere per procurarti il danaro necessario.E so bene che il mercato clandestino affonda le sue radici nella criminalità orgaizzata che, come piovra, appunto, è capillarmente insediata nei nostri governi di sempre.
Ma lo spunto di riflessione che poni tu è un altro:colpì la droga la meglio gioventù? Mi preme spiegare cosa intendevo dire per "le menti migliori". La droga arrivò non fra i giovani che restarono a casa, non fra quelli che continuarono ad accettare passivamante quello che la società di allora aveva scelto per loro. La droga arrivò sulle piazze, e sulle piazze c'erano le menti migliori, quelle che lottavano, quelle che si ribellavano, quelle che non accettavano schemi. Fra quelle menti migliori colpì le più fragili, le più sensibili, le più vulnerabili. Quelle, come dice bene la mia amica TeZ in un suo commento,dei sognatori, dei poeti, dei visionari. Non dimenticare, caro amico, che eravamo ragazzi giovanissimi e non avevamo davanti agli occhi nessun esempio di vita distrutta dalla droga. Anche le rock star iniziarono a morire dopo. Nulla faceva presagire il disastro.La tv non ne parlava, i giornali neanche, a scuola i pofessori non sapevano cosa fosse. Nessuno ci mise in guardia. E noi, come giustamente dici tu, ci sentivamo superiori, invincibili, padroni delle nostre vite, mentre le consegnavamo alla morte.Ma questo è tipico dei giovani, e ,di quelli "diversi" come noi eravamo, lo era ancora di più. Sì, fu proprio come un Tir. Un Tir che non ti ammazza sul colpo,ma lo fa lentamente. I fortunati come me ce l'hanno fatta, ma sono stati pochissimi rispetto a quelli che abbiamo visto soccombere. Possibile che fossimo tutti, mi ci voglio ancora mettere detro, ché starne fuori mi fa male, da buttare via? Eppure eravamo partiti bene, con le idee giuste e gli ideali giusti. Ci siamo persi per strada, siamo state vittime civili, è stata una guerra. Altri non conobbero la signora bianca, ma ne conobbero una altrettanto cattiva. Ne hai fatto cenno: conobbero la lotta armata, che ne distrusse molti. Non rinnego di aver detto che questi mali colpirono fra le menti migliori: lo eravamo. Gli altri stavano a casa, mentre noi lottavamo per tutti, anche per loro. E non dimenticare che fu un periodo difficilissimo di transizione dal vecchio al nuovo. Noi eravamo il nuovo, in lotta perenne contro il vecchio che era rappresentato non solo dallo Stato, ma anche dalle nostre famiglie. E non fu piacevole, fu dolorosissimo essere contro i propri familiari e rinnegare tutto, anche l'affetto. Noi quella libertà di cui parli ce la siamo sudata con lacrime e sangue. Io lasciai la mia famiglia all'età di 19 anni, una bimba, eppure mi sentivo donna.
Non mi piace fare la vittima: l'ho detto, sono stata fortunata, nessun merito personale, solo la buona sorte. Mio padre, preside e professore di latino e greco, sin dalle elementari, mi faceva con le sue stesse mani dei segnali, diversi nei colori, ma tutti con la stessa scritta che recitava "Ognuno è artefice della propria fortuna". Ebbene, io ero convinta, e con me tanti altri, che quella sorte ce la stessimo preparando e la stessimo preparando per il mondo intero.Abbiamo sbagliato, ma lo abbiamo fatto in buona fede. Ed abbiamo pagato un conto salatissimo. Io ce l'ho fatta, ma non ero migliore di quelli che sono morti, sono riuscita solo a prenderlo non in pieno quel Tir.

Anonimo ha detto...

E' un argomento difficilissimo anche per chi, come me, il 68 lo ha vissuto. Senza droghe e neppure spinelli. Ho letto il post di Anna ed il suo commento e sono d'accordo che in esso aleggia una profonda sensibilità ed ottime intenzioni. Eppure tendo ad aderire alla tua tesi, caro Lupo, convinto sin da allora che la lotta per davvero la fa potendola fare chi normalmente vive e lavora. Nè occorrono paradisi artificiali per sognare ed essere visionari perchè se per sognare occorre estraniarsi, si tratta di incubi. Sono durissimo riguardo all'uso di droga e non sono disposto a sconti. Trovo che nessuno abbia il diritto di odiarsi tanto profondamente e radicalmente o di essere tanto autocommiserativo da imbarcarsi nell'artificiosità orrenda e masochistica della droga.
Dopo si è cominciato a morire dice Anna. Di fatto a Napoli e Perugia, città della mia università molti sono morti e notissimo era cosa sarebbe accaduto a chi assumeva certe droghe. Non condanno nessuno né faccio il maestro di morale è solo che dal mio punto di vista la droga è il rifugio di chi non ha davvero il coraggio di vivere e di lottare.
luigi

lupo42 ha detto...

Cari Anna e Luigi, vi ringrazio per aver voluto dedicare un po' del vostro tempo alla mia modesta riflessione. L'argomento è di quelli difficilissimi, come negarlo ? Ed anche dai vostri interventi si ricava che i punti di vista sono molto differenti. Anna, il cui post uscito "dal cuore e dall'anima" mi ha indotto a dire qualcosa sull'argomento droga, si dichiara decisamente antiproibizionista in quanto, avendo vissuto il problema su di sè, ritiene che questo sia l'atteggiamento giusto per contrastare la ricerca del proibito; mentre Luigi è duro riguardo all'uso della droga e non è disposto a fare sconti. Che dire ? Già queste due posizioni appaiono inconciliabili, e penso che sarebbe difficile trovare una qualche soluzione condivisa se si dovesse partire da esse. Intravvedo comunque una via d'uscita. Molti protagonisti infatti hanno dovuto con dolore e pena elaborare i troppi lutti vissuti, ed ammettere d'avere sbagliato (come è inevitabile capiti ai giovani) e d'aver pagato però un conto troppo salato. Questo può rappresentare forse una speranza. Nemmeno io, come Luigi, ho mai pensato di censurare o condannare chicchessia. Tuttavia non sono disposto ad abbandonare l'illusione che nessuno più finisca col buttarsi via, consegnando la propria vita alla morte, come ha detto Anna.
Ciao. Lupo.

Anonimo ha detto...

La brevità talora rende difficile raccontarsi. Ma oggi siamo al punto che ci sono i drogati della domenica, i drogati per reggere ai ritmi. Sinceramente penso che sia gente senza volontà e non riesco a provare alcuna comprensione. Nè tantomeno suscita scandalo o tentativo di intervento di troppa gente.
Come intervenire? Beh! Il senso pratico avverte che il proibizionismo ha fallito e non può che fallire. E la situazione non può prescindere dall'estendere una soluzione a tutti i paesi europei in termini di somministrazione controllata delle sostanze. Credo che avrebbe ottimi risultati.
luigi