venerdì 14 dicembre 2007

A Life Less Dolce

Chiedo venia se c'entra di nuovo l'America, ma stavolta in realtà si parla di noi, del Belpaese. Prendo spunto infatti dall' articolo di Ian Fisher sul NYT del 13 dicembre dedicato alla situazione dell'Italia, di cui tutti parlano da ieri, ed al quale ha fatto cenno anche il nostro Presidente Napolitano che si trova in questi giorni negli States in visita ufficiale. Doverosa premessa: il mio poco inglese è veramente .... poco ! ma insomma, il dizionario l'hanno inventato apposta, no ?
Fin dal titolo "In a funk, Italy sings an aria of disappointment", si capisce che non sono rose e fiori per la povera Italia. Ma tant'è, da molto tempo siamo abituati al clima di paura ed al senso di delusione che c'è in giro. Il giornalista statunitense inizia proprio la sua analisi descrivendo il "malessere" dell'Italia di oggi, di questa sorta di paura collettiva che si è diffusa fra la gente: probabilmente questo stato d'animo fa sì che gli Italiani oggi si sentano i più infelici d'Europa, via via che la frustazione aumenta. Fino a ieri eravamo quelli del "savoir vivre", mentre adesso c'è più paura che speranza, come dice Veltroni. I dati statistici dimostrano che il Paese è cambiato, che siamo più vecchi e più poveri, ma nessuno sembra capace di capire e fare qualcosa per contrastare la decadenza. Le famose e mitizzate PMI, la spina dorsale dell'economia, sono in crisi e lottano per sopravvivere contro la concorrenza cinese, in un'economia globalizzata. Prosegue impietosa l'analisi di Fisher: la famiglia è piena di problemi, il 70% dei giovani dai 20 ai 30 anni vive ancora in casa, col risultato che i giovani sono condannati ad una lunga ed improduttiva adolescenza. A marchiare con cruda efficacia la decadenza italiana rispetto ai fasti del passato c'è l'immagine, suggerita dall'ambasciatore Spogli, dell'edera che s'è avvinghiata attorno a questo nostro fantastico albero vecchio di 2500 anni e che gli impedisce ormai di vivere ! Intorno ci sono sempre le stesse facce, "tired old faces" le vecchie facce stanche (v. i parlamentari). Bisogna tagliarla quest'edera. Più avanti il giornalista accenna al successo clamoroso, e significativo per la sua tesi, di libri quali "La casta" e "Gomorra", che hanno mostrato i peccati ed i privilegi della classe politica, che comunque permette alla camorra di prosperare. Siamo dunque ai soliti vecchi problemi dell'Italia ? A. Stille dice di no, anzi afferma che negli anni dal '50 al '90, mentre l'economia era in espansione, la gente avrebbe tollerato il cattivo comportamento dei leader; ora però, la crescita è lenta e la qualità della vita è in declino .... dunque "now life is harder". Il problema è che gli Italiani pensano che gli attuali leader siano incapaci di cambiare, hanno poco o per niente fiducia in loro, ad es. non hanno votato Berlusconi perchè non ha mantenuto le promesse di crescita e di opportunità basate sul merito (in American-style); e d'altra parte Prodi ha detto di voler cominciare una nuova vita, ma poi ha fatto troppi ministri e s'è invischiato in una difficile maggioranza.
"We are not a normal country" dice il consulente finanziario G. Gamboni: è una tristezza che ciò che potrebbe essere, non è (a proposito del fatto che chi lavora ed ha contatti con altre realtà vede come tutto funziona meglio altrove). Certo, Fisher non tace dei gravi problemi che hanno attraversato l'Italia, alcuni epocali: si è passati dai 25 milioni di concittadini emigrati in un secolo ai 3,7 milioni di immigrati da noi oggi, il peso della Chiesa è diminuito, c'è stata la fine della DC, la famiglia è in crisi, ci sono bassa natalità e troppi vecchi (perfino in TV, ed è simpatica questa notazione). Ma ecco, forse, il punto fondamentale: "the generational divide", il divario generazionale, e qui non si taccia dei 68 a. di Prodi o dei 71 a. di Berlusconi !
Che idea dell'Italia, allora ? Non c'è più la grandezza di una volta, nel cinema, nella musica, nell'arte ... E' vero, però ci sono Ferrari, Ducati, Armani, Piano, Illy, il Barolo ecc. cioè tutti quei simboli dello stile e del prestigio, il fascino del "made in Italy". Allora, forse, il futuro sta qui ? Ma, si chiede Fisher, questa strategia del made in Italy, basterà ? Di ciò è convinto Illy: "this is where Italians are winners". Per essere vincitori, però, occorre risolvere i problemi dell'industria, causati dalla concorrenza, cercando di guardare al mercato e di ottenere la qualità e l'unicità che certamente si trovano nei prodotti italiani, non in quelli cinesi. Tuttavia gli imprenditori si lamentano di essere scarsamente aiutati dai politici, che c'è troppa burocrazia, mentre al contrario servirebbero più flessibilità e più infrastrutture.
Montezemolo osserva che "now it's time to change", perchè nel migliore dei casi siamo fermi. A favore della efficacia della cosiddetta "strategia del made in Italy" sono la preparazione dei giovani imprenditori (i quali sono molto più avanti degli attuali) e la creazione del nuovo PD, mentre contro vanno gli investimenti troppo scarsi e la poca Ricerca & Sviluppo. E' chiara a tutti gli schieramenti politici, peraltro, la necessità di una nuova legge elettorale.
L'articolo del NYT si chiude con un paragone fra l'Italia di oggi e la Serenissima Repubblica di Venezia, che è diventata nient'altro che un "bellissimo cadavere" calpestato da milioni di turisti. C'est à dire: l'Italia oggi appare quasi bloccata dalla passata grandezza, come successo a Venezia. Infine l'articolo riporta quanto detto da B. Severgnini: non basta vedere i problemi, occorre soprattutto cambiare i nostri singoli atteggiamenti (pagare le tasse, non accettare i compromessi, non chiedere favori, non barare ecc.). Più che mai abbiamo il nostro destino nelle nostre mani.

Fin qui l'articolo (e mi scuso se mi sono dilungato) sul quale vorrei dire alcune cose. Mi auguro di sentire anche il parere di altri.
Ho notato che alcuni commentatori italiani si sono alquanto risentiti rispetto al contenuto dell'articolo di Ian Fisher. Io, sinceramente, a parte l'immagine finale della Serenissima disfatta come un cadavere che m'è parsa, come dire, quasi un portar "sfiga", la sostanza dell'articolo sento di condividerla. Infatti, cosa si sottolinea in esso ? Che siamo un paese bloccato, che ha perso lo slancio dei decenni passati, che ha scarsa fiducia nel futuro, che è invecchiato, che manca di infrastrutture, che è avviluppato su se stesso, che ha una classe politica prossima alla mummificazione, che ha una burocrazia pesante e inutile, un paese in cui troppi imprenditori sono in ritardo rispetto alle esigenze della globalizzazione. Si sarebbe potuto parlare di molto altro ancora, ad es., che so, che siamo un paese dove prevalgono quasi sempre le logiche corporative. Converrete con me che la lista sarebbe lunga assai. Vorrei però puntare il dito su una questione che ritengo essenziale affinchè l'Italia possa uscire finalmente dalla palude in cui s'è chiusa, e riprendere la crescita e lo sviluppo: la questione generazionale, attorno alla quale secondo me si gioca il destino futuro. Qui sta il male. Dobbiamo cambiare l'educazione delle nuove generazioni, abbandonare l'atteggiamento di pericoloso lassismo che s'è installato nelle famiglie e nella scuola. Dobbiamo far sì che i nostri giovani siano abituati fin da piccoli a sapere che ci sono delle regole da rispettare, senza cercare scorciatoie, che la vita non è mai facile e che occorre sempre competere e lottare per conquistare qualcosa. A partire dalla scuola e dallo sport, che nella scuola non si pratica più ormai e sarebbe invece il mezzo migliore per insegnare appunto che niente è facile da ottenere e al contrario il risultato si può avere solo a prezzo di fatica e sacrifici. Anche per tutto ciò sono d'accordo con Padoa-Schioppa. Bisogna che i nostri ragazzi escano di casa prima, come avviene in tutti gli altri paesi europei, cioè bisogna che la smettano di fare "i bamboccioni", che si costruiscano una vita autonoma, al limite rischiando, senza avere sempre la amorevole copertura della famiglia. E noi adulti dobbiamo dare loro strada, altrimenti non si smuove nulla, la situazione si avviluppa sempre di più, come nell'esempio dell'edera dell'ambasciatore Spogli. E' una strana società, infatti, quella attuale. I giovani restano nel guscio accogliente della casa paterna (fino ai 40 a. magari), noi "adulti" siamo ormai diventati anziani ma vogliamo occuparci ancora dei figli, senza tralasciare i nipoti ed i vecchi genitori, a volte vecchissimi (quest'ultimo è un problema che ricade soprattutto sulle donne !). Ma purtroppo nessuno vuole mollare il potere, piccolo o grande che sia, col risultato che alla fine ci dobbiamo rallegrare se "ragazzi" cinquanta-sessantenni come Veltroni o Casini o Fini riescono a scalzare dalla loro carega i vecchioni che le occupano da tempo immemorabile. Inoltre, il bello è: dove sarebbe il nuovo, dove sta il ricambio generazionale se le facce che si vedono sono sempre le stesse, le famose "tired old faces" dell'articolo ? A me sembra che tutto ciò sarebbe ridicolo, se non fosse tragico.
Saluti a tutti. Lupo.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

SI!
insegnare che,la vita è dura e che ha le sue regole da rispettare.La prima,quella di TIRAR FUORI IL MEGLIO DA TE STESSO! Poi,anche il resto viene e,SENZA PAURA! Bianca 2007

Anonimo ha detto...

un paese bloccato e che cannibalizza i giovani e il futuro. Temo che senza qualche scossone, non se ne vada nessuno volontariamente, dalle sedie occupate. Anche il Padoa Schioppa non è un ragazzino e non si mette a fare il nonno. Il fatto è Lupo che chi ha da perdere in questa situazione sono i giovani che avranno un paese impoverito di risorse e speranza. Non è la prima volta che si brucia una generazione, è già successo nel '77, ma in più adesso c'è l'eliminazione della speranza di cambiamento. Solo i giovani possono prendere in mano la vita ed accettare la compagnia di quelli che si fanno da parte senza obbligo. Ma questo esige che nel lavoro, in politica, nella società ci sia coinvolgimento, il nuovo, la speranza. Mi capita spesso di sentire giovani che in politica, nel lavoro, ragionano come vecchi e si comportano di conseguenza e allora mi prende la tristezza. Ma poi passa.

Anonimo ha detto...

Una provocazione....
Perchè non ce ne andiamo tutti in Cina?
Il PIL cresce da anni in quel paese nell'ordine del 7%-10%. Sono un miliardo e trecentomilioni, problemi demografici non se ne soffrono, al contrario, lo Stato è dovuto intervenire per fermare la crescita esponenziale della popolazione che è più che raddoppiata dal 1960 ad oggi. La forza lavoro giovanile è ben utilizzata visto anche che solo 1,8 cinesi su cento studiano all'Università. Gli altri hanno tutti le maniche ben rimboccate. La Cina ha già superato Italia e Gran Bretagna come ricchezza assoluta e si appresta a raggiungere la Francia tra breve...inoltre ospiteranno fra pochi mesi le Olimpiadi.
Sono la nazione al centro dei riflettori del mondo. D'accordo, non ci sarà libertà di informazione (perchè da noi c'è?), i sindacati privati non sono consentiti (meglio no? quei vecchi inutili apparati burocratici), non ci sarà un regime democratico di alternanza al governo ma questa è una fortuna ...più stabilità e poi basta con questi partitini che litigano, bloccano le riforme, minacciano i governi e in ogni caso noi che la democrazia l'abbiamo, risultiamo forse essere più felici solo per questo motivo?
Tutti in Cina...!

lupo42 ha detto...

Tento di aggiungere qualcosa alla tua... provocazione, caro Gazza, dandoti ragione: non basta avercela in casa la democrazia ! Tant'é che noialtri, che ce l'abbiamo, purtroppo non sembriamo essere felici per il solo fatto di averla. Che cos'è infatti la democrazia, se rimane solo una intenzione ? Appunto, solo una parola vuota inventata da quel meraviglioso popolo che furono i Greci antichi. Il problema sta proprio qui, credo. Dovremmo tendere a realizzarla pienamente, farla passare da un'ideale forma di governo ad una compiuta organizzazione politico-statale, invece ci perdiamo in sterili discussioni o diatribe pseudoideologiche (nella migliore delle ipotesi) o dedichiamo le nostre misere risorse ad accrescere o mantenere i privilegi. Mi chiedo, volendo restare al tema in questione: dove è il progetto, dove "il coinvolgimento, il nuovo, la speranza", di cui parla Willy ?
La conclusione mi verrebbe un po' sconsolata, ma è Natale, voglio essere buono ed un pochino ottimista !
Ciao. Lupo.