Ognuno di noi ha dei ricordi di sé bambino, durante le festività natalizie, e dei regali ricevuti in quel periodo. Ma dipende dall'epoca se a portarli era Gesù Bambino o la Befana. Comunque sia, anche negli anni successivi alla 2^ guerra mondiale, quando ero bambino io, l'intero periodo che va dal 24 dicembre al 6 gennaio era un momento speciale per noi piccoli, con un' atmosfera magica che sarebbe rimasta impressa per sempre nella memoria. Con alcuni distinguo rispetto al giorno d'oggi, naturalmente. All'epoca, nelle famiglie “normali” di allora, si allestiva il Presepe ed i piccoli attendevano la Befana per ricevere i doni, mentre Gesù Bambino c'entrava solo in quanto la notte della vigilia si completava la ricostruzione scenica della grotta o della stalla, deponendo la statuina del divino neonato dentro la culla. Tutto qui, altro che Babbo Natale ! Questa figura simbolica infatti, che ormai ha fatto quasi scomparire ogni altra tradizione, sarebbe arrivata un po' più tardi, insieme a tante altre cose di cui ora non è il caso di parlare. Torniamo a quegli anni del primo dopoguerra, quando potevo avere 6-7 anni. La situazione non era uguale per tutti, anzi, la distanza fra i pochi ricchi e le modeste condizioni di vita della maggioranza della gente era più marcata di oggi, epoca in cui esiste un benessere diffuso. Difatti rispetto a oggi a quel tempo solamente alcuni potevano godere di una festa bellissima, piena di luci e di giocattoli, di sorrisi, di gioia, con tanta gente allegra attorno. Mentre tanti invece si dovevano accontentare di meno, molto meno, quasi niente direi, come se il Natale fosse un giorno simile a tutti gli altri. Certo, poteva capitare che alle famiglie più bisognose venisse fornito per la speciale occasione un pacco-dono, quasi sempre roba da mangiare con qualche dolcetto per i più piccoli, ma la miseria non smetteva di esistere solo per la carità praticata in certe ricorrenze, questo è sicuro. Io non ero fra i poveri, per fortuna, anche se noi non ci potevamo definire benestanti: diciamo che facevamo parte del ceto medio, ma questo lo avrei capito solo in seguito, naturalmente. Un'altra cosa che non faceva parte del mio sentire di bambino, allora, e di cui avrei avuto più avanti consapevolezza crescendo, era il fatto che ci trovavamo nel dopoguerra. Questo significava molte cose a cui eravamo abituati. Per fare un esempio, utile forse ai ragazzi di adesso per capire come si viveva un tempo e come ci si accontentava di quel poco che c'era, durante l'inverno nelle case in genere un solo locale veniva riscaldato, la cucina, mediante la famosa stufa “economica” che andava a legna ed era il meglio della tecnologia di quegli anni (scaldava anche l'acqua, asciugava la biancheria e ci si cuoceva il mangiare, vi pare poco ?). Ricordo che nelle giornate più fredde e ventose, magari quando era nevicato, prima di coricarsi si usava scaldare il letto con uno scaldaletto in rame o con degli attrezzi speciali che dalle mie parti chiamavano il "prete" e "la monaca", forse per effetto del diffuso anticlericalismo della zona. Poichè si ricorreva alle braci infuocate, non di rado si rischiava di bruciacchiare le lenzuola. Ma quando ci si ficcava a tutta velocità (dato il gelo della camera) sotto le coperte e si iniziava a gustare con ogni voluttà possibile il calore così ottenuto, vi assicuro che era una goduria ! Per vestire, poi, non si spendevano certo le cifre di ora, che tutti andiamo alla ricerca dei modelli firmati e così via. Mi assale un po' di malinconica tristezza se ripenso alle giacche ed ai cappotti voltati e rivoltati che ereditavamo dai più grandi, con il taschino a destra, o alle scarpe sui cui tacchi si applicava una semiluna metallica atta a ridurne il consumo, o alla totale assenza degli elettrodomestici di cui siamo pieni oggi. Per quanto riguarda il cibo, poi, anche qui non è che si scialasse tanto, nemmeno sotto le feste: infatti è vero che in quei giorni si mangiava di più e meglio, in ogni famiglia qualcosa di speciale e di buono secondo la tradizione, ma sempre senza esagerare. Se vado con la mente al periodo dei primi panettoni, quelli che oggi chiamiamo industriali, ricordo che se ne assaggiava uno durante tutte le feste, non come adesso che ce n'è per tutto l'anno, fino alla nausea. E per restare al tema dei doni per i bambini, in casa mia veniva predisposto un grande ramo di abete che occupava un angolo della cucina in alto fin quasi alla porta che conduceva alle camere, e la notte della Befana su questo ramo papà e mamma posizionavano le candeline di cera di vari colori ed appendevano tanti mandarini, con un po' di caramelle e cioccolatini di contorno. Ed i nostri doni, a parte alcuni giocattoli, erano il torrone, i fichi secchi ed i datteri. Così era il mondo di una volta, eppure era bello, le nostre famiglie vivevano, noi crescevamo, la scuola funzionava ....
Vabbè, torniamo a me bambino nel dopoguerra. A dir la verità, riguardo alla condizione della mia famiglia qualcosa intuivo, pur essendo ancora piccolo, capivo cioè seppur vagamente che anche noi avevamo bisogno e che c'era qualcuno molto ricco e potente che ci poteva aiutare ogni tanto. In seguito avrei compreso che chi ci aiutava, il mio nonno “americano” tanto lontano ma onnipotente quasi fosse il "genio" delle fiabe, in realtà non era per niente ricco e potente, come immaginavo, visto che anch'egli lavorava come tutti per vivere, pur essendo orgogliosamente divenuto cittadino del grande Paese che dominava il mondo e dove si era rifatto una nuova vita ! Ma allora sentivo solo questo, che doveva mancare qualcosa pure nella nostra famiglia, se non altro per il fatto che ogni tanto mio padre ritirava uno scatolone, il famoso pacco in arrivo dall'America. Il più importante e atteso, adesso lo definirei strategico, era quello che il nonno spediva in Italia perchè giungesse in tempo per le feste natalizie. L'apertura del grosso scatolone era una specie di rito che coinvolgeva non solo noi bambini, ma anche papà e mamma. Anzi, il più agitato e curioso di tutti era proprio mio padre che moriva dalla voglia di verificare se ancora una volta ci sarebbero state quelle strane, per me, confezioni di sigarette dal nome difficile, che mi sembrava si chiamassero cesterfìl, lustraic e cammèl, e che a lui facevano brillare gli occhi. A noi piccoli toccavano altre cose: maglioni colorati, pantaloni e altri indumenti che subito nostra madre ci faceva provare, a seconda dell'età. E dato che eravamo tre maschi in scala, ciascuno trovava ciò che poteva andargli bene, con sua grande soddisfazione. A me una volta toccarono dei pantaloni con la pettorina, cosa mai vista prima, che poi avrei esibito a scuola assieme ad un magnifico maglione multicolore con la spocchia di chi, per meriti speciali, può indossare degli indumenti che nessuno dei compagni riuscirà mai a possedere. Talvolta c'erano anche delle caramelle e dei giocattoli. A proposito di giocattoli, succede che una volta nel pacco troviamo un pallone di cuoio, bello, con tutte le cuciture in evidenza, un pochino piccolo ma fatto proprio bene. Purtroppo, e lo capiamo subito, dato che non è tondo ma anzi ha la forma di un uovo allungato, non si riesce a farlo rimbalzare come avremmo voluto. Ecco, quella me la ricordai come l'unica grossa delusione fra le tante cose ricevute dall'America, come quando non ricevetti in regalo dal mio padrino il fucile flobert che m'aveva promesso ma .... un violino ! Dopo qualche tentativo andato a vuoto, infatti, concordammo di non fare cenno alcuno ai compagni circa quello strano coso, che anzichè accrescere la loro invidia nei nostri confronti (assai gratificante per noi) al contrario ci avrebbe fatto perdere punti ai loro occhi, essendo che non ci si poteva giocare con quella stramaledetta inutile palla ! Ma un giorno, però, avvenne il vero miracolo. Il pacco conteneva un piccolo, meraviglioso, fantastico trenino elettrico che i miei compagni di giochi ci avrebbero invidiato chissà per quanto tempo, dato che mica ce n'erano in giro di oggetti simili in paese. Per inciso, ricordo che mio padre tentò inutilmente di farlo andare, provando e riprovando i collegamenti elettrici ed i contatti. Alla fine per farlo funzionare ci volle l'intervento di Ido, che era un genio per il quale le robe di elettricità non avevano segreti e che in seguito avrei apprezzato come il più straordinario ideatore di presepi che avessi conosciuto. Bene. Cosa fece Ido ? Piazzò un portalampade con una lampadina enorme prima della presa dove si attaccava il cavo elettrico del treno, e soltanto questo bastò a risolvere il problema. Infatti, tenendo accesa la lampadina da 100 candele (che però, per quanto grossa fosse, faceva una luce fioca fioca) non so come, ma il trenino si mise ad andare e fare di tutto: correre all'indietro, fermarsi, ripartire, scaricare merce dal vagoncino speciale detto tender, aumentare o diminuire la velocità, sganciare i vagoni e riagganciarli, il tutto muovendo dei tasti e delle levette su una specie di centralina filoguidata. Uno spettacolo che in molti vennero a vedere e che inorgoglì l'intera famiglia. E ci fu anche qualche uomo grande che si divertì a giocarci !
Un saluto. Lupo.
Verso gli ottanta/13
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1 anno fa
2 commenti:
CALDA
come coperta di di cammello la condivisione nella SEMPLICITA' di quelle feste che nulla avevano di rituale se non la GIOIA della sorpresa spartita che si moltiplicava come per magia!
Sono di fretta,ma un profumo (riflesso) di quel tempo,ho desiderato lasciartelo anch'io.BUON NATALE! Bianca 2007
Buon Natale anche a te, Bianca2007, e grazie per esserci.
Piccola annotazione: comprendo ed approvo la tua ... fretta, stante la lunghezza che talora presentano alcune delle cose che vado dicendo, di certo inversamente proporzionale al loro livello qualitativo !
Ciao. Lupo.
P.S. Idea-proposito per l'anno che viene: tenere sotto controllo la mia verbosità esondante. Promesso.
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