lunedì 31 dicembre 2007

Sul Capodanno e dintorni

Fra i ricordi della fanciullezza che s'affastellano nella memoria, talora incerti e confusi per la lunga serie di anni alle spalle, mi è gradito in questo periodo di feste riandare al tempo in cui nella nostra famiglia c'era l'abitudine di trascorrere insieme le giornate tra il Natale e l'Epifania. Non dico tutti i giorni, ma assai di frequente, questo sì, la casa dei nonni materni ci vedeva riuniti per pranzare o cenare nella grande cucina o anche semplicemente per stare in compagnia a giocare. Gli adulti si impegnavano in interminabili partite a ramino, interrompendosi appena per sorbire il punch che la zia preparava fra una mano e l'altra senza perdere nemmeno una battuta, non so come facesse. Intanto noi bambini ci dedicavamo ai nostri giochi o stavamo ad osservare i grandi. A me piaceva molto studiarne il comportamento durante le partite, non soltanto per imparare le regole ma anche per capire le astuzie che usavano: desideravo infatti prendere parte anch'io al gioco, visto che ormai ero grandicello. Più di tutto mi piaceva la tombola, specialmente tenere il tabellone. Così, ad ogni numero pescato, potevo pronunciare ad alta voce i commenti che avevo imparato ascoltando i grandi: ”settantasette, le gambe delle donne; novanta, la paura; quarantasette, il morto che parla !” mentre i giocatori incalzavano con “mescola bene, mi raccomando !” oppure ”é uscito il trenta ?”. V'erano altri passatempi, ad esempio il “sette e mezzo” ed uno che non ricordo bene, forse si chiamava “campana e martello” e somigliava un po' al gioco dell'oca. Certe serate si sedeva al tavolo con gli altri anche mio cugino, molto più grande di me, un giovanotto atletico che era un po' il mio eroe preferito: correva in motocicletta, andava a caccia, giocava nella squadra di calcio, faceva l'università a Bologna e, anche se la cosa per me allora non aveva un gran significato, si diceva piacesse molto alle ragazze. Lo adoravo talmente tanto, da decidere che da grande sarei diventato come lui, che oltretutto era fortunato e vinceva sempre quando si trattava di soldi (questo mio cugino, disposto a concedere parte del suo tempo ai parenti ed a ritardare l'uscita serale, ma solo ... se si giocava a soldi, mi sa che fosse una lenza !).
La cucina, teatro di quelle lunghe serate di festa, era molto ampia, forse il locale più grande dell'abitazione, con un enorme focolare in cui si bruciava una grande quantità di legna per riscaldare l'ambiente, ma dove anche si cuocevano vivande di ogni genere. Oltre all'immancabile caldaro di rame per l'acqua, il focolare disponeva di specifici fornelli per i cibi a lenta cottura e per i dolci, nonchè di un girarrosto con la carica a molle, sul cui spiedo ho visto rosolare tante specialità diverse ma sempre gustosissime: pure con i mezzi scarsi di una volta le nostre donne erano fantastiche, altrochè. In un vano apposito, ricavato da una parte della cappa, si conservavano alcuni tegami di rame di varie dimensioni di cui la zia andava fiera, avendoli salvati dalle requisizioni fasciste, del genere “rame alla patria”, diceva. Il focolare occupava quasi interamente la parete di sinistra della stanza, e la cappa era talmente grande che spesso noi bambini, durante i nostri giochi, la usavamo come tana per nasconderci, ovviamente a fuoco spento ! Ci tiravamo su fino a scomparire al suo interno, dopo esserci aggrappati al gancio che il nonno utilizzava per appendere il prosciutto, quand'era il momento. La cucina era tanto spaziosa ed accessoriata poichè in passato, “anticamente” come si diceva in casa, il primo piano dell'abitazione era adibito a trattoria, dunque gli avi dovevano essere attrezzati per preparare pranzi e cene, sia per la numerosa famiglia che per i clienti. Me li figuro gli avventori di quell'epoca, carrettieri, braccianti, facchini (tutta gente d'appetito robusto), intenti a saziare nella trattoria “da Gigi” la loro fame antica. E quasi li vedo mentre ingurgitano le povere semplici pietanze del tempo, annaffiate dall'ottimo verdicchio della casa che giunge al banco della mescita direttamente, non so come, dalle damigiane poste nella sottostante cantina.
Dunque il nonno, rispettando la tradizione, alcuni giorni prima di Natale si faceva portare dalla campagna un bel ceppo di ulivo che doveva ardere nel focolare per tutto il periodo delle feste, come portafortuna. Essenzialmente il ceppo aveva il compito, come dire, di collaborare alla funzione propria della legna da ardere, che ogni anno verso la fine dell'estate veniva accatastata in cantina, pronta all'uso: in effetti i tronchetti di pioppo, olmo, rovere e quant'altro bruciavano, certo, tuttavia la fiamma si limitava a lambire il ceppo sapientemente accostato, sicchè esso si consumava piano piano e poteva durare fino alla Befana, senza problemi. Di notte, l'ultimo a salire alle stanze di sopra per coricarsi metteva in sicurezza il camino, assicurandosi che il fuoco si stesse spegnendo. L'indomani il nonno, sempre il primo ad alzarsi ed a scendere in cucina, lavorava abilmente con l'attizzatoio per staccare dal ceppo dei piccoli tizzoni ancora accesi e con l'aiuto di qualche legnetto secco faceva in un attimo ripartire la fiamma. Il nonno era orgoglioso del suo focolare, eccome. Dopo cena, prima di uscire per recarsi al Bar Centrale come era solito fare con kantiana precisione, sostava in silenzio per qualche minuto ad ammirare il fuoco scoppiettante. Poi, preso con le molle un tizzone bello rosso e badando a non scottarsi, s'accendeva l'ultimo mezzo toscano della giornata e dopo un paio di boccate s'avviava verso il portone e “scappava” (scappare è il verbo che si usa dalle mie parti al posto di “uscire di casa" e l'espressione, oggi, sembra urtare alquanto la suscettibilità delle signore, non tutte però).
Il primo gennaio vigeva la consuetudine di avere in casa, come ospiti d'onore al pranzo appositamente allestito per il Capodanno, i “capoccia” dei mezzadri che coltivavano i poderi del nonno. All'epoca nelle Marche era diffusa la mezzadria, essendo ancora minoranza i coltivatori diretti o i fittavoli, presenti invece in altre parti del Paese. Non che mio nonno fosse un ricco proprietario terriero, tutt'altro. Possedeva due piccoli poderi a qualche chilometro dal paese che gli davano, tolte le spese, poco più di niente, ed un altro microscopico appezzamento appena fuori le mura, quasi un orto. Ma insomma, la brava gente che campava faticando sulla sua terra veniva, in certo modo, ricompensata una volta all'anno con l'invitare i capi-famiglia alla tavola del “sor padrone”, come si diceva allora, appunto per festeggiare insieme l'anno nuovo. Ero un ragazzino, quindi mi limitavo a ciò che vedevo e potevo capire: il fatto alquanto insolito mi piaceva ed a me bastava questo, non essendo assolutamente in grado di giudicare l'atteggiamento del nonno o i motivi di questa sua decisione. D'altra parte, avevo notato la familiarità con cui egli trattava i suoi contadini, quindi vederli a pranzo con noi mi confermava che essi in fin dei conti non erano degli estranei, tutt'altro. E poi il “sor padrone” aveva anche un regalino per loro, proprio come se fossero di casa. Quale ulteriore riconoscimento i “capoccia” avevano il privilegio di recare con sé il primogenito. Venivano solo due figli, poiché uno dei contadini non aveva discendenza. Il più grande poteva avere una ventina d'anni e non mi interessava, mentre l'altro era un ragazzino della mia età che conoscevo abbastanza bene, incontrandolo di frequente al podere. La sua presenza era molto stimolante per me, in quanto m'avrebbe fornito finalmente l'occasione di rivalermi di tutte le brutte figure che mi toccava fare quando accompagnavo il nonno nelle periodiche visite in campagna. In quell'ambiente, infatti, non c'era storia: io ero impacciato, e finivo regolarmente per fare la parte dell'incapace in confronto a lui, ragazzino di campagna che sapeva dominare la situazione e possedeva abilità sconosciute ad un coetaneo di paese. Egli non si faceva scrupoli a sfoggiare tutto il suo campionario con me. Iniziava dalla stalla, col mostrarmi quant'era bravo a mungere, poi si divertiva a chiudermi dentro il recinto dei maiali, scherzo che m'infastidiva un sacco, quindi mi guidava tutto baldanzoso giù per il campo per farmi ammirare il nido che aveva scoperto il giorno innanzi, e altre consimili esibizioni. In genere, però, la mia residua capacità competitiva era annientata dal constatare quanto più lontano e preciso di me sapesse colpire con la fionda, esercizio in cui non mi ritenevo l'ultimo arrivato. Rientravo in paese quasi sempre frustrato dal confronto, tuttavia felice per le ore trascorse in campagna (ambiente che ho sempre amato e che mi fa star bene anche ora). Che la felicità dipendesse però, almeno in parte, dalla fine dell'impari lotta col mio giovane rivale di campagna ? Mi è sempre restato il dubbio.
Comunque sia, il Capodanno rappresentava l'occasione della mia rivincita ! Infatti in casa del “sor padrone”, alla nostra tavola riccamente imbandita, avrei fatto valere il mio prestigio di fronte al suo impaccio ed alla sua inettitudine, incapace com'era non dico di conversare ma persino di starci come si deve, a tavola. Che bello, adesso mi sentivo al sicuro e superiore nella mia classe sociale, ben più elevata della sua e dove le abilità “contadine” non sarebbero servite a nulla, anzi. Finalmente mi sarei potuto divertire alle sue spalle. Inoltre quell'anno (poteva essere il 1953-54) avevo un asso nella manica, che l'avrebbe lasciato di stucco a crepare d'invidia. Dopo pranzo, infatti, avrei orgogliosamente esibito il nuovo giocattolo ricevuto in regalo da Gesù Bambino. A tal proposito debbo precisare che, di anno in anno, alla tradizionale Befana si stava aggiungendo nelle famiglie italiane questa nuova consuetudine di Gesù Bambino, che ovviamente noi bambini non facemmo difficoltà ad accettare. Pertanto anche a me era già toccato un dono, pur restando i regali della “vecchia” quelli ancora più sognati e attesi nei piccoli paesi come il mio, un po' ai margini del progresso socio-culturale di quei primi anni cinquanta. Avevo dunque ricevuto un piccolo proiettore cinematografico, naturalmente senza sonoro e funzionante a manovella, corredato di alcuni spezzoni di pellicola 35 mm. a colori: un po' di quella roba che oggi si chiamerebbe “trailers” ed alcuni metri di cartoni animati. Per me fu un regalo meraviglioso, pur dovendo armeggiare parecchio per inserire e togliere i vari spezzoni. Li proiettavo in continuazione in cucina, su un tratto di parete liscia e bianca che pareva proprio uno schermo, ed ero diventato abbastanza abile a regolare la velocità di rotazione della manovella, tanto che la visione delle varie scene era rotonda, senza strappi. Rimaneva però il dover ogni volta avvolgere e riavvolgere le pellicole, procedimento alquanto laborioso, tanto che qualche settimana dopo mio padre chiese al proiezionista del locale cinematografo il favore di sigillare gli spezzoni tra di loro, sì da ottenere un'unica pellicola più comoda da caricare. Per verificare il risultato del suo intervento, il tecnico mi fece sedere in sala e proiettò il film così ottenuto sul grande schermo del cinema, così scoprii che c'era addirittura il sonoro ! La cosa mi fece un'enorme impressione.
Dunque, quel Capodanno, al termine del pranzo posiziono in un angolo del tavolo il mio bravo proiettore, lo collego alla presa elettrica ed inizio a mostrare il primo spezzone che avevo precedentemente messo in macchina: un breve cartone animato, molto divertente. Mentre manovro la manovella sto molto attento a sbirciare in viso il mio amico campagnolo, pronto a coglierne le reazioni, perchè questo sarà il vero spettacolo per me ! Non me lo perderei per niente al mondo, anzi me lo voglio godere fino all'ultimo. Ma, con mia grande sorpresa, è proprio la reazione di suo padre Augusto a colpire, con me, tutti i circostanti. Ci si rende immediatamente conto che il “capoccia”, per la prima volta in assoluto, sta vedendo delle immagini in movimento. Sì, incredibile, egli non era mai stato al cinema in vita sua e dunque, quasi sconvolto, manifestava tutto il suo stupore, agitandosi sulla sedia, e fanciullescamente gridava: “si muove, guarda, si muove !” e giù a ridere come un matto. Reagiva come un bambino o come l'indigeno della foresta amazzonica al primo contatto con la modernità. Il comportamento sorprendente ed inatteso del buon Augusto, lo confesso, mi tolse un po' il piacere della “vendetta” che ero pronto a cogliere nei confronti del figliolo. Mi sentii in imbarazzo, quasi mi vergognavo di esibire io, un piccolo ragazzino presuntuoso, un modesto giocattolo capace di meravigliare fin quasi allo stordimento quel brav'uomo semplice e ignorante, che non avrei dovuto umiliare a tal punto. Non ne avevo nessun diritto, no.
Almeno così ricordo d'essermi sentito quel lontano giorno di Capodanno, e questa sensazione ho tentato di raccontare.
Grazie per la cortese pazienza e AUGURI !
Lupo.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

GRAZIE LUPO
per aver voluto condividere con noi,dei RICORDI preziosi!
Si "quel" tempo di fanciullezza era magico e sempre condito di ALLEGRIA anche se c'era poco.E le DONNE riuscivano a stupire sempre per la loro capacità d'ingegno che,dal nulla tirava fuori tesori.E quel "rame" sottratti alla cattiva genia,nè furono ben la prova! BUON ANNO e...vita agli anni,mi raccomando.Che TANTO hai e puoi! Bianca 2007 (fulvia)

lupo42 ha detto...

Grazie Bianca2007,
per gli auguri di Buon Anno e soprattutto per la vita agli anni che hai la premura di raccomandarmi ! Cercherò di tenere in gran conto il tuo caloroso invito. Grazie ancora, di cuore.
Lupo.

roma fabrizio ha detto...

Ho letto con attenzione questo racconto d'altri tempi e non è stato difficile viaggiare nel tempo. tante cose le ricordo così anch'io. E' vero che dal 24 dicembre al sei gennaio si faceva il giro delle case. parenti e amici. Io da ragazzino ero sempre felice e il Natale, o meglio le vacanze del natale erano qualcosa di magico. Mi è capitato di invidiare il cuginetto col regalo più bello e di essere invidiato a mia volta. Ricordo l'austera figura di patriarca di mio nonno e tutta la corte della numerosa famiglia e poi i tanti amici. Qualche giorno fa parlavo con un amico che, come tanti altri, lamentava il fatto che queste cose non si fanno più. Mi è capitato di ascoltare per telefono diversi amici e parenti tutti che lamentavano la stessa cosa. Mi sono domandato: "Ma è così difficile cambiare le cose?". Ho fatto una cena con degli amici durante le feste e poi un bel capodanno sempre tra amici. E' bastato poco. Qualche telefonata e il piacere di stare insieme. Credo che questi bei ricordi fanno parte di un tempo che non potrà più tornare, ma debbono essere il nostro stimolo per non far morire quella meravigliosa voglia di stare insieme. Mi sono augurato per quest'anno di fare più cene con amici e di stare più tempo con la gente a cui si vuole bene, che ci fa divertire, che vuole vivere.
Se le feste sono brevi o meglio se si considerano solo la notte del 24, il 25, il 26, la notte del 31, il primo dell'anno e la befana è perchè siamo maledettamente condizionati e in corsa col tempo. Dobbiamo recuperare tutto e non perdere niente. Questo è il meccanismo balordo al quale siamo condannati. Dobbiamo rallentare. Così come erano quei gesti dei vecchi di altri tempi, lenti anche nell'accendere un fuoco, senza litri di diavolina o legna artificiale inzuppata di cherosene per evere subito la fiamma.
Che ne dici?

Roma fabrizio

Anonimo ha detto...

Che belli questi raduni di famiglie patriarcali nei giorni di festa! E le figure delle donne di casa e il nonno con la sua potenza e autorità...memorabili. Anche se c'era piu' semplicità, sicuramente per i bambini erano esperienze formative, non mero possesso di regali e di oggetti come oggi, bensì autentico arricchimento interiore. Come la grande lezione morale che ne hai tratto dalla vicenda del proiettore!
Inoltre sono perfettamente in sintonia con le considerazioni di Roma Fabrizio: dobbiamo impegnarci a rallentare, a dare qualità al nostro tempo, nel modo e con le persone che piu' ci fanno stare bene, a vivere con maggiore consapevolezza in fondo. Come il nonno di Lupo che prima di uscire la sera, sostava qualche minuto di fronte al suo "fuoco", per ammirarne ancora una volta la bellezza.

Anonimo ha detto...

Ciao Lupo, c'è Un libro di Scabia che ti riguarda: Lettere a un Lupo, bello e scritto bene. Vai forte con la testa e piano con le gambe, come una locomotiva riflessiva. Un abbraccio.
Willy

Anonimo ha detto...

Grande Lupo buon anno di cuore,anch'io vengo da una famiglia numerosa e i favolosi raduni patriarcali ,come dice zeta , li ho vissuti con grande intensita', la citta' era Roma ma sinceramente faccio fatica a ricordarla grande , caotica e dispersiva com'e' ora , la ricordo come un paese il mio paese fatto di incontri , di passeggiate , di ritrovi , di continui contatti umani e poi appunto le festivita' , il natale , il capodanno , tutti insieme , cugini , zii, genitori , fratelli e i coordinatori di tutto , i nonni !!!!
Si e' vero i tempi cambiano e certe usanze vanno scomparendo ma ho la certa sensazione che questa , a differenza di altre trasformazioni di vita , non la vorrebbe nessuno ma avviene lo stesso e tante cose sciocche hanno preso il sopravvento come ..... la casa in disordine.... il cucinare .... la stupida scusa della confusione , si rovinano i mobili e via dicendo , e cosi' si ci limita ai formali auguri di una semplice visita prima da un parente e poi da un altro... che potenza avevano i nonni e i surperstiti rimasti che con tenacia continuano , per la felicita' di tutti a fare i grandi raduni .
Il tempo dicono che sia galantuomo io non ci ho mai creduto , anzi , comunque lupo cogli sempre nel segno e questo tuo ricordo piu' che nostalgico lo vedo consigliere....come per dire...fermatevi , fermiamoci , ma dove andate , ma dove andiamo... , e' proprio vero la vera vita sta' nelle cose semplici,tutto sommato possiamo dire di essere fortunati noi di mezza eta' per aver vissuto quelle magie , o come dice Fabrizio abbiamo ancora il desiderio di comunicare , tra 20 anni i nostri nipoti avranno le nonne , che rappresentano ovvero rappresentavano il volano della famiglia , con le labbra e i seni siliconati altro che raduni , o capacita' d'ingegno , le nonne del futuro stupiranno per la loro non capacita'.....che palle essere pessimisti

Anonimo ha detto...

Merci pour ce beau conte de Noël qui, en fait, est la réalité et qui enchante celui qui le lit.
Tout en lisant ce beau texte, si bien écrit, je repensais aux souvenirs de Carlino dans "le confessioni di un italiano" d'Ippolito Nievo, surtout lorsqu'il parle de la cuisine et de la vie qui s'y déroule. Bravo, lupo, pourquoi n'essaierais-tu pas un petit texte en vénitien ?
Mes souvenirs de Noël sont très différents des votres car il s'agissait de la famille restreinte, les parents et les enfants. Nous habitions Paris et l'accent portait surtout sur la décoration de notre petit appartement, mon père imaginait des crèches magnifiques et ma mère préparait des objets quelle faisait elle-même qu'elle disposait de façon très artistique.Puis c'était la messe de minuit (à minuit)et lorsque nous revenions, on nous bandait les yeux. Lorsque le bandeau tombait, c'était l'émerveillement devant la beauté du décor que nous n'avions pas vu auparavent. Voilà.
Je préfère écrire ces choses-là en français, c'est plus facile pour moi et c'est un bon exercice pour vous,lupo et compagnie.
Ciao' e tantissimi auguri per il 2008

lupo42 ha detto...

Un grazie agli amici che hanno dedicato un po' del loro tempo a scorrere questo mio ricordo, che spero sia stato piacevole da "ascoltare" e magari interessante per i più giovani, ai quali può offrire uno spaccato di vita d'autrefois ! Dai vostri commenti viene fuori un desiderio
di cose semplici e "calme": ciò mi conforta. Grazie ancora.
BIANCA2007
ho già provveduto a ringraziarti per la tua premurosa comprensione, ma lo rifaccio con piacere
ROMA-FABRIZIO
ormai sei diventato un amico per me, molto in sintonia con le mie corde (e te ne sono riconoscente)
ZETA
hai perfettamente colto il senso del mio modesto racconto, se ti soffermi sulla fugura del nonno che sosta, pensieroso e calmo, davanti al fuoco !
WILLY
seguirò l'invito a leggere Scabia e ti sono debitore per l'immagine della locomotiva, che mi piace
SCHEGGIA
sono contento che col contributo del mio racconto anche tu sia potuto riandare all'infanzia ed agli affetti più cari, in una Roma speciale: bello il ricordo della città vissuta da bambino, come fosse il tuo "paese", e simpatica la chiusura del commento ... !
DOUCE FRANCE
merci beaucoup ! ma il confronto con "Le confessioni" è veramente troppo per me, imbarazzante ! comunque grazie, e complimenti per come hai saputo in due righe condividere i tuoi ricordi di Natale (mi piace la meraviglia dei bambini di fronte allo spettacolo dei decori che d'improvviso si mostrano ai loro occhi spalancati).
p.s. con "crèches" da voi si intende "presepio" ?
Ciao a tutti. Lupo.

Anonimo ha detto...

Io arrivo per ultima a leggere questo bellissimo post e non mi resta più niente da aggiungere a quello che già hanno detto i tuoi amici più cari, posso solo complimentarmi per la tua bravura.
Sei veramente un romanziere mancato.

lupo42 ha detto...

cara Marì,
un grosso grazie anche a te. Sarai stata l'ultima a leggermi, 'sta volta, ma non posso dimenticare che fosti la prima che contattai all'inizio di questa avventura sul blog. Dunque, per te, sempre una speciale considerazione ... va bene ?
Ciao. Luciano.